lunedì 29 febbraio 2016

Fuocoammare, il blues di Lampedusa

Rimettere a fuoco senza giudicare uno dei drammi più grandi del nuovo millennio: è questo il principale merito di Fuocoammare, il documentario di Gianfranco Rosi vincitore del Festival di Berlino. Un'operazione rischiosa su due distinti versanti: quello della retorica buonista e quello del voyeurismo della sofferenza. Si può affermare senza enfasi che questa opera si elevi al di sopra di ogni contesa ideologica, facendoci fare i conti con una realtà a cui siamo assuefatti e che spesso congediamo frettolosamente con la visione del solito servizio televisivo sempre accompagnato da un'inutile e tragica colonna sonora. 
Rosi invece, in solitaria, ci conduce in un viaggio dove gli unici suoni sono quelli del mare e del vento, protagonisti sull'isola come il piccolo Samuele che ama tirare con la fionda e soffre il mal di mare in un luogo dove tutti sono pescatori. Altro personaggio chiave è il dottore Pietro Bartolo che in cinque minuti di racconto riesce a condensare il terribile dramma di dover soccorrere e curare quasi ogni giorno centinaia di esseri umani dovendo decidere chi va in ospedale, chi va nel Centro di Accoglienza e chi è deceduto. Le uniche musiche ad accompagnare la quotidianità degli isolani sono quelle della radio locale che trasmette canzoni popolari su richiesta, ma quella che resta impressa e scolpita è la ballata dall'antico sapore blues improvvisata da un gruppo di disperati appena sbarcati, scampati più volte alla morte:
"Non potevamo restare in Nigeria / Molti morivano, c'erano i bombardamenti / Ci bombardavano / e siamo scappati dalla Nigeria / siamo scappati nel deserto, / nel deserto del Sahara, / molti sono morti. / Nel deserto del Sahara molti sono morti / Sono stati uccisi, stuprati / Non potevamo restare / Siamo scappati in Libia / E in Libia c'era l'ISIS / e non potevamo rimanere / Abbiamo pianto in ginocchio: 'Cosa faremo?"

Volenti o nolenti temo che in Europa per i prossimi decenni continueremo a fare i conti con il racconto di questa canzone.




Legenda voti
@ una cagata pazzesca
@½ pessimo
@@ trascurabile
@@½ passabile
@@@ buono
@@@½ da vedere
@@@@ da non perdere
@@@@½ cult
@@@@@ capolavoro

mercoledì 24 febbraio 2016

Titoli di testa e soundtrack: Trainspotting

Princes Street, Edimburgo. Vi dice niente? E' la strada in cui fu girata la prima scena (quella della fuga sulle note incalzanti di Lust for Life di Iggy Pop) di Trainspotting.
Esattamente vent'anni fa usciva in UK il film di Danny Boyle, in Italia sarebbe poi arrivato solo in ottobre. Una pellicola ormai storica che merita un omaggio con i titoli di testa originali, dove uno per uno vengono presentati tutti i protagonisti. Da sottolineare la favolosa colonna sonora: da Brian Eno a Lou Reed passando da Blondie
I sequel rappresentano sempre un terreno insidioso, ma in questo caso mi affido al talento del regista inglese che sta lavorando al seguito intitolato Porno dal romanzo di Irvine Welsh che riprende il filo del discorso con gli stessi personaggi. 

"Scegliete la vita, scegliete un lavoro, scegliete una carriera, scegliete la famiglia, scegliete un maxitelevisore del cazzo, scegliete lavatrice, macchina, lettore cd e apriscatole elettrici. Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita; scegliete mutuo a interessi fissi, scegliete una prima casa, scegliete gli amici. Scegliete una moda casual e le valigie in tinta, scegliete un salotto di tre pezzi a rate e ricopritelo con una stoffa del cazzo, scegliete il fai-da-te e il chiedetevi chi siete la domenica mattina. Scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz, mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare. Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio, ridotti a motivo di imbarazzo di stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi. Scegliete il futuro, scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa cosí? Io ho scelto di non scegliere la vita. Ho scelto qualcos'altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando ha l'eroina?"


lunedì 22 febbraio 2016

The Survivalist

“La nostra civiltà si basa sul principio della non infinita disponibilità delle risorse. Sono partito da qui e ho provato a immaginare come riuscirei a vivere in un mondo dove le risorse sono finite. Stephen Fingleton.




E' stato da bambino guardando 1975 - Occhi bianchi sul pianeta Terra che sono rimasto fulminato dal genere post apocalittico. Da allora il cinema ha attraversato varie fasi e mode: l'umanità sopravvissuta al dopo bomba, al dopo epidemia, al dopo catastrofe naturale, al dopo zombi e via dicendo. Li ho visti praticamente tutti, anche se le uscite recenti, a parte Snowpiercer, non sono state un granché.
Questo film si colloca decisamente ad un livello superiore.
Sui titoli di testa un grafico rappresenta sulla linea del tempo l'andamento demografico della popolazione sulla Terra in parallelo alla produzione di petrolio. A un certo punto, in un futuro imprecisato, la linea blu comincia a precipitare per poi essere seguita dalla linea popolazione: sono finite tutte le risorse e l'umanità è regredita ad uno scenario anarchico tipo homo homini lupus e di arretratezza paragonabile al XIX secolo. 
In un bosco imprecisato dell'Irlanda un giovane uomo vive la sua routine quotidiana. Abita in una baracca, coltiva la terra e mette tagliole con le quali cattura anche eventuali intrusi umani proteggendo in maniera paranoica i confini del suo territorio. L'arrivo di una donna inquietante e della giovane figlia, entrambe affamate, metterà in moto una serie di eventi incontrollabili.

Film britannico indipendente e a basso budget sulla sopravvivenza senza spettacolarizzazioni o effetti speciali, secco e crudo sullo stile di The Road. La parte animalesca dell'uomo di fronte al collasso della civiltà è la tematica centrale. Credibile e realistico, non indugia troppo sulle cause che vengono lasciate su uno sfondo disseminato di indizi che stimolano alla ricostruzione di ciò che potrebbe essere accaduto. Candidato ai Bafta 2016 (British Academy Film Awards) per il miglior debutto alla regia.




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sabato 20 febbraio 2016

Quelli che... hanno letto Umberto Eco a undici anni

Quelli che... dichiarano di aver letto Il Nome della Rosa a 11 anni (giuro, l'ho appena letto su twitter) mentre io purtroppo solo a 25 impegnandomi discretamente.

Quelli che... in rete sono intellettuali ed estimatori di Umberto Eco e probabilmente il libro più impegnato che hanno letto è 50 sfumature di grigio.

Quelli che... "A voi Umberto Eco piace solo perché non avete dato l'esame di semiotica."

Quelli che... "Ma come si chiamava sta rosa?"

Quelli che... hanno sempre il coccodrillo pronto.

Quelli che...

mercoledì 17 febbraio 2016

Savages e due parole a proposito dei tributi a David Bowie

Il brano più bello delle Savages dal loro album Adore Life, suonato dal vivo alla radio KCRW in Santa Monica, sempre dispensatrice di ottima musica.
Mi fa impazzire il basso così alla selvaggia (come quando suonavo per sopperire alla poca tecnica). Belle toste le ragazze, guidate dalla carismatica Jehnny Beth. Guardatela in questa versione di Life on Mars, da comparare con la performance stile Las Vegas di Lady Gaga ai Grammy's. 

L'onesto commento del figlio Duncan Jones che ha creato polemiche sul web.


lunedì 15 febbraio 2016

Dal Canada sempre buona musica


















Una versione allucinogena del Mito della caverna di Platone nel primo singolo con video che preannuncia l'uscita del quarto album della band canadese dei Black Mountain. Ipnotico, dilatato, vintage e tamarro al punto giusto.


Siamo all'opposto. Il suo album è uscito a fine 2015, ma l'ho scoperto ora grazie a ondarock; Dralms è il nome d'arte di Christopher Smith, pure lui canadese, con un album minimalista ed elegante di pop alternativo.



Nel frattempo gli Arcade Fire continuano la loro full immersion in quel di Haiti...

martedì 9 febbraio 2016

Il primo social network prima che i social network venissero immaginati


Il 9 febbraio 1976 con l'inno americano storpiato da Jimi Hendrix iniziarono a Bologna le trasmissioni di Radio Alice, la radio che diede una spallata al mondo della comunicazione. Un'avventura durata poco più di un anno e conclusa con i carri armati in città e la drammatica chiusura in diretta con i carabinieri a fare irruzione durante le trasmissioni.
L'idea di rete bidirezionale e di comunicazione orizzontale; l'utilizzo per la prima volta al mondo del telefono in diretta senza filtri; la libertà di comunicare aperta a tutti, sono partite da qui. Come ha raccontato Bifo, un esperimento frutto «di poeti, artisti pazzoidi e di hacker antelitteram, sperimentatori tecnici». Durante le rivolte del '77 a Bologna la radio fungeva da catalizzatore, un server che smistava informazioni e controcultura quando l'etere era ancora un territorio vergine, fino a quel momento monopolio esclusivo della RAI. Bisognava esserci per capire l'entusiasmo che si respirava.
Oggi molte radio ricorderanno quella prima trasmissione: lo speciale in contemporanea su Radio Città Fujiko e Radio Città del Capo di Bologna, sarà ritrasmesso anche da Controradio Firenze, Radio Popolare Verona e Radio Flash di Torino. Ricordi anche su Radio Capital e Radio 2.

Strano il 1976. In Italia i gruppi stranieri non venivano più a suonare. Un anno di passaggio che ha sancito il tramonto definitivo dell'utopia hippie e di un certo modo di stare insieme (basti pensare al naufragio disastroso del Festival del Parco Lambro) preannunciando l'imminente rivoluzione, non solo musicale ma anche estetica, portata dal punk e dalla new wave. Bastava procurarsi un trasmettitore e nel giro di poco tempo l'idea sovversiva di collegare i fili del telefono all'antenna dilagò in tutta la penisola moltiplicando in pochi mesi le radio libere.
L'anno dopo tenevo già un programma settimanale di musica e letteratura senza dover rendere conto a nessuno. I primi ascoltatori furono i miei compagni di scuola. Era Radio Graal, la radio più anarchica di tutta la bassa romagna in cui ti potevi permettere di mettere su senza problemi un brano dei Gong anche se teneva tutta la facciata B del vinile, oppure leggere poesie di Rimbaud e Majakowskji.

Nessuno può immaginare il pathos che regnò quella sera che, come sempre in diretta, alzammo la cornetta del telefono per rispondere ad una telefonata in arrivo e, invece della voce di un ascoltatore, sentimmo uno struggente assolo di sax. 
Valerio Minnella, uno dei fondatori (dal blog Wuming).

Un buon film che ripercorre quel periodo è Lavorare con lentezza di Guido Chiesa del 2004. Si anche vedere qui dall'internet archive no profit in streaming o in download.

domenica 7 febbraio 2016

L'ottavo film di Tarantino per me è il settimo


Dopo aver letto ormai un centinaio tra post e articoli che vanno dalla stroncatura (del tipo Tarantino non ha più niente da dire e cita se stesso) alla glorificazione, butto giù qualche idea senza il minimo accenno alla trama di cui non andrebbe svelato nulla.

- Con Quentin siamo abituati ad un livello così eccelso che ci si aspetta sempre di più e si tende ad essere severi alla minima flessione.

- In questo caso, per quanto riguarda la mia personale classifica, The Hateful Eight va a collocarsi al penultimo posto tra le sue opere. Il che non significa assolutamente bocciatura, ma 3 tazze e ½ cioé da vedere come dice la legenda della teiera.

- Lasciatemi spendere altre due righe per un personaggio che entrerà nella storia del cinema di Tarantino (e non solo) alla stregua di Mr. Wolf. Sto parlando di Jennifer Jason Leigh e della sua beffarda fuorilegge Daisy Domergue. Per me è già un cult.

- I dialoghi sono magistrali come al solito, veri e propri meccanismi ad orologeria.

Infine ecco la lista dei magnifici otto. L'ultimo potrebbe essere il primo per centinaia di registi.

1. Pulp Fiction                 @@@@@
2. Django Unchianed       @@@@@
3. Jackie Brown              @@@@½
4. Bastardi senza gloria   @@@@½
5. Le Iene                      @@@@
6. Kill Bill                       @@@@
7. The Hateful Eight        @@@½
8. Grindhouse                @@@

martedì 2 febbraio 2016

10 programmi cult di intrattenimento e la tristezza della RAI attuale

In Italia non abbiamo programmi musicali decenti: pochi giorni fa è stato soppresso Ghiaccio Bollente che andava in onda su Rai 5. Per fortuna c'è Sky Arte che per la musica ha una marcia in più: per dire, di recente ha trasmesso uno splendido documentario della BBC su Bowie (Five Years).

In Italia non abbiamo mai avuto uno show come il David Letterman (di cui mi sento orfano). Ci aveva provato Daniele Luttazzi con Satyricon e ovviamente fu sbattuto fuori. Oggi il programma di punta è quello dell'inamovibile Fazio, sagra dell'ovvietà e della piaggeria. Un personaggio con così poca dignità e carenza di cojones che nell'ultima puntata ha acconsentito a far slittare fino alle 22 il suo solito siparietto, affinché i temi affrontati da Presa Diretta (il bullismo, l'educazione sentimentale e sessuale tra gli adolescenti) andassero in onda il più tardi possibile. Ogni altro commento è superfluo.
Nel campo dell'intrattenimento però ci sono stati programmi che hanno lasciato un segno. Purtroppo parliamo al passato, perché da qualche anno c'è il vuoto.











1) Blob
Gioiosa, perfida e geniale macchina da guerra che ha frantumato la tv trasportandola in una realtà parallela. L'unico programma della tv generalista che ancora oggi guardo volentieri.

2) Quelli della notte (1985)
Ero giovanissimo, la tv era per me un oggetto estraneo, soprattutto quando non uscire la sera significava essere malati. Quella primavera però alle 23 scattava una molla che mi riportava tra le mura domestiche. C'era da divertirsi!

3) Mai dire gol (1990/2001)
Una palestra di comicità con personaggi pazzeschi: i primi Aldo, Giovanni e Giacomo, Albanese, Fabio De Luigi, Crozza, Daniele Luttazzi con il suo tabloid che esordiva così: Buonasera questa edizione del telegiornale andrà in onda in forma ridotta per venire incontro alle vostre capacità mentali. Lunedì sera raramente prendevo impegni.

4) L'Ottavo nano (2001)
Silvio Berlusconi e Massimo D'Alema di Sabina Guzzanti;
Vulvia, Funari, Rutelli e Quelo di Corrado Guzzanti
Alberto Angela, Gasparri, PierFerdinando Casini di Neri Marcorè.
Può bastare?

5) Il poeta e il contadino (1973)
Facevo le medie e il sabato sera non potevo ancora uscire. Nonostante l'età ingrata e gli ormoni impazziti, riuscivo a mantenere vivo qualche neurone per apprezzare l'ironia stralunata di Cochi e Renato.

6) D.O.C. (1987-88)
Grazie ad Arbore, due anni in cui si è potuta sentire della musica decente dal vivo in RAI. Ovviamente soppresso, come è accaduto di recente a Ghiaccio Bollente.

7) Avanzi (1991-93)
Come non amare un programma che portò in tv i Sonic Youth e il regista de paura Rokko Smitherson?

8) Mister Fantasy (1981-84)
Massarini era un marziano che proponeva i Talking Heads in tv quando a Sanremo vincevano ancora Al Bano e I Ricchi e Poveri...

9) L'altra domenica (1976-79)
Purtroppo vista poco per via dell'orario (domenica pomeriggio).

10) Cinico TV (1992-96)
Satira al vetriolo e relitti umani. Uno sputo in faccia al perbenismo e alle buone maniere.