venerdì 27 giugno 2008

20 Album vissuti: 1° Harvest - Neil Young 1972

Nel 1975 a 15 anni mi fu regalata la prima chitarra insieme al mitico “Chitarrista in 24 ore”, il libretto che ha formato una generazione di chitarristi (scarsi) come me. Bisogna ammettere che la promessa del titolo fu quasi mantenuta perché, dopo appena qualche ora in più, ero già in grado di strimpellare il famigerato giro di DO. Cominciai a tenere un quaderno con i testi e gli accordi delle canzoni che col passare del tempo aumentava progressivamente, passando dai cantautori italiani (De Gregari, Guccini, Lolli e De Andrè i preferiti) a quelli stranieri, in primis Neil Young. C’era una canzone, “Don’t let bring you down”, che non faceva parte di Harvest: non riuscivo a suonarla, mi faceva dannare. Finché un giorno, grazie a CIAO 2001, scoprii che bisognava “scordare” opportunamente due corde per ottenere quel suono particolare che si sentiva nel live. Nella nostra compagnia c’erano altri tre chitarristi ufficiali e quando esibii la mia nuova scoperta, assunsi da lì in poi il ruolo di esperto in canzoni straniere ed in particolare quelle di Neil Young. In effetti ero in grado di suonare quasi tutto Harvest con i testi sotto cantando con il mio inglese scolastico. Grandissima fu la soddisfazione nell’imparare il dolce arpeggio di The needle and the damage done o altre ballate memorabili come Heart of gold, Alabama, Old man.
Quando la compagnia si spostava le chitarre erano onnipresenti: in campeggio, in spiaggia, nelle case e anche davanti al bar, abituale punto di ritrovo. Al bar Zampa trovavi sempre qualcuno; spesso era la base di partenza per qualche scorribanda; i patentati maggiorenni aumentavano con il passare dei mesi, io però essendo il più giovane in assoluto dovetti per molti anni affidarmi agli altri o usare il mio Ciao. C’era Toz con la sua Mini-Minor verde, Raffaele e Giampaolo con la Prinz dei genitori, Guido con l’A-112 che guidava come un pazzo e Fina, uno dei miei soci chitarristi con cui anni dopo formai un gruppo, con la Cinquecento.

Il momento di punta, il sabato pomeriggio, era anche il momento degli scherzi e degli scazzi. Il bar si trova tuttora sotto un portico; pochi metri distante c’era una sbarra di metallo fissata una certa altezza sotto ad un arco. Quando uno nuovo entrava nel giro del bar, la sbarra veniva utilizzata come scherzo d’iniziazione, al quale anch’io dovetti sottostare. Un giorno mi venne chiesto se fossi riuscito con un salto ad attaccarmi. Senza neanche pensarci con un piccolo salto mi aggrappai alla sbarra e immediatamente sentii quattro braccia afferrarmi le gambe che furono tirate all'indietro: se avessi lasciato le mani mi sarei fatto molto male. In questa posizione altri due “bastardi” provvedevano a sbottonarmi i pantaloni e tirarli giù alle caviglie insieme alle mutande. Ci fu qualcuno che dopo aver subito questo scherzo si incazzò parecchio, probabilmente perché a volte veniva fatto nelle ore di punta e si era costretti a rimanere appesi in mostra di fronte ad eventuali passanti sbigottiti. Io non me la presi e non feci altro che staccare una delle mani per tenerla pudicamente a copertura delle parti intime, fino alla liberazione finale. Naturalmente pregustavo già il momento della vendetta nei confronti di una nuova vittima.

Neil Young: "Don't let bring you down"


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